Alba di quelle che ti tolgono il fiato, nelle quali vedi tutte le forme e i colori del creato e ti senti in pace col mondo.

Suona il telefono, strano sono solo le 7.30.

Ci sono i cavalli in mezzo alla strada, c’era da aspettarselo, iniziano a scendere, previdenti, per l’inverno.

Le previsioni dicono che la neve tarderà ancora qualche giorno. Possono tranquillamente farsi ancora un po’ di pascolo anziché venire a casa a mangiar fieno.

Mi vesto lentamente cercando di non turbare con la fretta la splendida quiete del mattino.

Salgo in macchina e vado dove mi hanno detto di aver avvistato i cavalli. Il paese si sta svegliando, i camini che fumano sono l’unico segno di vita, una vita calda e confortevole, anch’essa lenta.

Le nuvole salgono e mi inghiottono intanto che da sud ne arrivano altre scavalcando le montagne. Inizia a piovere, prima poche gocce, poi sempre di più finché non è pioggia fitta.

Trovo i cavalli in un boschetto accanto alla strada, fermi sotto l’acqua, che gocciolano come gocciola tutto il mondo intorno.

Il vento viene da sud, piove ma non fa freddo.

Scendo dalla macchina tirandomi su il cappuccio dell’impermeabile. La consapevolezza e l’accettazione del fatto che mi bagnerò fino al midollo mi lasciano tranquilla: è inutile lottare con l’acqua, tanto vale farsela amica.

Metto la cavezza a Melo e gli salto in groppa. I pantaloni mi si inzuppano all’istante, ma è acqua tiepida, scaldata dal cavallo. Partiamo, Melo davanti e gli altri dietro, col loro passo ondeggiante scandito dai rintocchi delle loro stesse campane.

Silenzio profondo nel bosco di faggi, silenzio fatto di scrosciare di pioggia e calpestio ovattato di zoccoli. E’ un silenzio dentro, denso. Sono tutta bagnata: le gambe, le braccia, i capelli, le gocce di pioggia mi scivolano sul viso come lacrime. Melo mi scalda.

Siamo sulla strada del monte, sempre più in alto, gli alberi spogli, le foglie a terra. Le cortecce umide e rugose, i rami lunghi, i nodi sui tronchi, il profumo  che riconoscerei ovunque fatto un po’ di bagnato, un po’ di funghi, un po’ di cinghiale.

Il bosco ci abbraccia e noi andiamo avanti, mi sento accolta, mi sento a casa.

Il vento si fa più forte, a tratti grandina, si scorgono i primi lampi sulla cresta e i tuoni rimbombano forte squassando il cielo sopra la mia testa e il mio cuore nel petto.

E’ meglio arrivare in fretta, prima di incrociare il temporale.

Sprono Melo che parte al galoppo, le cavalle lo seguono.

Il suo passo è sicuro, la sua schiena un po’ scivolosa, bagnata com’è, ma mi tengo salda alla criniera. La strada curva tra gli alberi e noi con lei, rivoli d’acqua mi scorrono nella scollatura fino alla pancia. Mi viene da ridere e rido. Sono sola, posso ridere a squarciagola mentre volo nella pioggia, nessuno mi vede, nessuno mi sente, nessuno mi prende per matta. Sono sola e incredibilmente forte.

Lo scrosciare del fiume in lontananza  si fonde con lo scrosciare della pioggia sulla mia testa.

Arrivati al cancello del pascolo ci fermiamo, scendo dal cavallo, li lascio andare di là e chiudo il cancello.

Con le mani in tasca mi avvio verso casa.  Questa pioggia mi ha lavata, torno a casa senza polvere.

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